(Corriere della Sera) – Si tratta della più comune allergia alimentare in età pediatrica: il 2-2,5 per cento dei bambini non tollera il latte vaccino, un problema che si può risolvere solo eliminando questo prezioso alimento dalla dieta. È essenziale però una diagnosi corretta, perché non tutte le allergie al latte sono uguali e se non se ne identifica il giusto tipo si può finire per sottoporre i bimbi a restrizioni alimentari non necessarie: lo hanno sottolineato i pediatri durante l’ultimo congresso della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIIPS), ricordando che oggi, per fortuna, esistono diversi metodi per arrivare a diagnosi precise e affidabili.
DIAGNOSI – «In alcuni casi fa più danni il medico imponendo divieti che l’allergia da sola – osserva Vito Miniello, docente di nutrizione e dietetica infantile all’università di Bari e membro del direttivo SIPPS -. Le allergie alimentari infatti sono molto “pesanti” soprattutto perché costituiscono una limitazione consistente per i piccoli, peggiorandone la qualità di vita: essere allergici al latte può voler dire temere di mangiare un biscotto a una festicciola con gli amici. Per questo è fondamentale capire esattamente a quali proteine del latte si è allergici attraverso i metodi di diagnostica molecolare oggi disponibili: se non si tollera la caseina, la proteina presente anche nei formaggi, si dovranno evitare pure i prodotti dove il latte è cotto perché si tratta di una sostanza resistente al calore; se invece il bimbo è allergico alle sieroproteine è possibile mangiare prodotti da forno senza andare incontro a reazioni allergiche. Peraltro, chi è in questa situazione e introduce latte cotto acquisisce prima la tolleranza alle sieroproteine, crescendo: un’ulteriore conferma che l’esclusione alla cieca del latte in ogni forma fa solo danni».
ALLERGIA – I test per la diagnosi dell’allergia al latte sono numerosi: il classico prick test però, nel quale una goccia di alimento viene messa a contatto con la pelle per vedere se c’è una reazione cutanea, non indica di per sé con certezza l’allergia perché potrebbe essere segno “solo” di un’avvenuta sensibilizzazione. «Perché sia suggestivo di allergia occorre la presenza dei sintomi clinici, prime fra tutte le scariche quando si assume latte – spiega Miniello -. Per fare una buona diagnosi serve quindi anche il RAST test, che valuta la presenza nel sangue delle immunoglobuline tipiche degli allergici, le IgE, e le prove molecolari per distinguere le proteine che realmente non si tollerano». L’allergia al latte è tuttavia un po’ speciale perché oltre alle forme “classiche” immediate (i sintomi compaiono non appena si introduce l’alimento) è possibile avere reazioni ritardate, dovute a meccanismi diversi, non mediati dalle IgE ma dalle cellule. «In questi casi i test allergici risultano negativi, ma la storia clinica indica che qualcosa non va: il bambino cresce male, ha sintomi di reflusso, pare non assorbire bene i nutrienti – sottolinea l’esperto -. In questo caso per la diagnosi serve escludere il latte per 2-3 settimane: se ai controlli si nota che il bambino sta meglio e ha messo su un po’ di peso, è molto probabile che vi sia un’allergia. Da non confondere con l’intolleranza al lattosio, che è tutt’altro problema e non riguarda praticamente mai i bambini: in quel caso infatti manca un enzima, la lattasi, che scinde lo zucchero presente nel latte e talvolta, da adulti, smette di essere prodotto dall’organismo».
PREVENZIONE – La domanda che tutti i genitori si fanno, soprattutto se sono a loro volta allergici, è come prevenire la comparsa di un’allergia al latte nei bambini: la prima regola è non eliminarlo dalla dieta della gestante, a meno che ovviamente non sia essa stessa allergica. «Gli studi hanno mostrato che la dieta di esclusione aumenta addirittura il rischio che il bambino poi sviluppi un’allergia al latte – fa notare Miniello -. Sì quindi a un’alimentazione varia e completa in gravidanza, semmai privilegiando il pesce ricco di omega-3 che sembra avere effetti protettivi contro le allergie. No assoluto, invece, al fumo da parte dei genitori: perfino fumare sul balcone e poi prendere in braccio il bimbo è “rischioso” perché la nicotina si deposita sui vestiti, si trasforma in cotinina e come tale viene respirata dal piccolo, aumentando la probabilità che diventi allergico». Quando introdurre il latte vaccino per minimizzare il pericolo di allergia? «Il latte di mucca non va mai dato prima dell’anno di età, meglio ancora aspettare 24 mesi: nei primi due anni di vita le proteine del latte vaccino tra l’altro favoriscono lo sviluppo dell’obesità perché stimolano fattori di crescita che inducono la formazione di cellule adipose in eccesso – dice il pediatra -. Quelle cellule resteranno per tutta la vita e sarà per colpa loro se poi non si riuscirà a dimagrire oltre una certa soglia, da adulti. Se il latte materno non è sufficiente si può ricorrere al latte formula, studiato per soddisfare le esigenze dei bambini entro l’anno, e fino ai tre anni si possono scegliere i cosiddetti latti di crescita: derivano da quello vaccino ma hanno un carico proteico inferiore e sono perciò ottimi per prevenire obesità e allergie».
Comments are closed.