(ADNKRONOS SALUTE) – ROMA, 15 APR – “Per sapere come sta il bambino in gravidanza serve fare l’amniocentesi o la villocentesi. Non ci sono scorciatoie. Ad oggi i test sul sangue materno sono solo degli screening, indicazioni predittive (e non diagnosi) sulla possibile presenza di una o due malattie, la sindrome di Down in particolare. Mentre l’esame del liquido amniotico, con Dna, dà dati certi su almeno 400 diverse malattie”. Claudio Giorlandino, ginecologo esperto di diagnosi prenatale presidente della Fondazione Artemisia, ricorda la posizione della comunità scientifica internazionale sulle novità ‘soft’ per individuare in gravidanza patologie del feto. I nuovi test, secondo Giorlandino, sono “fin troppo utilizzati oggi. La letteratura internazionale indica che non servono a molto. Si tratta di screening, molto costosi ma poco utili. Hanno la possibilità di individuare una bassissima percentuale di casi di sindrome di Down. Il futuro è, invece, un affinamento della tecnica tradizionale: l’analisi del Dna fetale sul liquido amniotico e sui villi. Si può arrivare a verificare migliaia di patologie”, dice all’Adnkronos Salute Giorlandino, sottolineando che al momento questi test sul sangue sono molto ‘pompati’ dalle aziende. “La tecnica più avanzata sul sangue materno è sicuramente molto raffinata, ma permette di trovare solo in alcuni casi il Dna del bambino. A volte si trova Dna del padre, o di un’altra gravidanza. Questi test sono molto costosi, poco attendibili e comunque non si tratta di diagnosi. Infatti nel caso ci sia indicazione per la sindrome di Down bisogna comunque fare l’amiocentesi o la villocentesi”. Uno screening sul sangue materno costa sui mille euro, spiega l’esperto, che non considera positiva l’introduzione di queste tecniche nel servizio sanitario nazionale: “Sarebbe buttar via soldi”, spiega il ginecologo. L’esame ‘classico’ su liquido amniotico e villi – continua l’esperto, ricordando le indicazioni della comunità scientifica – resta l’unica strada corretta. Ed anche a basso rischio. “Oggi i dati – conclude Giorlandino – indicano che il rischio di aborto dell’amniocentesi è ridotto allo 0,03 %, in un buon centro e con profilassi antibiotica. Un grosso salto rispetto all’1% riportato negli studi del 1984”.
Comments are closed.